Jacqueline
Annarita Tranfici
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte. <<E’ ora di muoversi>>, disse.
Quella
notte non era riuscita a chiudere occhio e tra un libro e tante
sigarette in veranda, aveva aspettato che giungesse l’orario in cui la
sua giornata sarebbe cominciata. Spense l’ultimo mozzicone e rientrò in
casa, diretta verso la cucina. Mentre saliva le scale sentì l’odore
della polvere penetrarle fin dentro i polmoni. Erano le quattro del
mattino e le ragazze con cui condivideva quell’appartamento malmesso e
piuttosto sporco riposavano tranquille, sicuramente a pezzi per il turno
di lavoro terminato poche ore prima. La sua giornata lavorativa,
invece, sarebbe iniziata entro breve.
Il
rumore della pioggia si sentiva appena, sovrastato da quello dell’acqua
della moka poggiata sulla piastra elettrica. Nulla più di una buona
dose di caffè bollente l’avrebbe aiutata a scrollarsi di dosso la
stanchezza di una notte insonne.
Indossata la divisa e il sobrio k-way,
scese le scale senza far rumore e chiuse lentamente la porta dietro sé.
Nell’ora di viaggio in bus verso il luogo di lavoro, Elena ebbe modo di
pensare che quel giorno erano esattamente tre mesi che si era
trasferita a Londra. Com’era cambiata la sua vita nelle ultime
settimane, quante persone aveva conosciuto, quante sensazioni le si
erano affollate nella mente. Sensazioni che quel cambiamento improvviso e
i vari impegni non le avevano ancora permesso di discernere e mettere a
fuoco ma a cui pian piano avrebbe dato un nome.
Elena
lavorava in un albergo a cinque stelle a South Kensington; era addetta
alle colazioni e mentre gli ospiti dell’hotel si svegliavano con calma,
sorseggiando un thé caldo e pianificando le tappe di una nuova giornata
da turisti, lei vagava come una trottola da un capo all’altro della sala
ristoro per far sì che ogni commensale fosse soddisfatto del servizio
che aveva profumatamente pagato. Terminava di lavorare alle 11.00 del
mattino, ma non aveva modo di dedicare il resto della giornata a nessun
tipo di svago; quello all’albergo, infatti, era solo il primo lavoro. La
vita a Londra era molto cara, specialmente per una ragazza sola che non
poteva contare sull’appoggio di nessuno. Altri sessanta minuti di
viaggio per rientrare a casa, un panino al volo e appena un paio d’ore
di riposo prima di cominciare la seconda attività, quella che
probabilmente la stancava di più, ma che senza dubbio le dava maggiori
soddisfazioni. Durante il pomeriggio, Elena doveva prendersi cura di due
bambini: Claire, di cinque anni ed Eric, di appena sei mesi. I genitori
dei piccoli, italiani emigrati come lei, svolgevano attività che li
tenevano impegnati buona parte della giornata, e per questo avevano
deciso di comune accordo di farsi aiutare nella gestione della casa da
una ragazza giovane e intraprendente. Nell’appartamento accanto a quello
della famiglia viveva un’adorabile vecchietta di ottant’anni il cui
nome era Jacqueline Moore. Jacqueline
era una pacata lady inglese, estremamente cortese e paziente; sembrava
che la sua lunga vita non le avesse mai dato ragioni sufficienti per
essere arrabbiata, delusa o amareggiata. Aveva patito molte sofferenze,
ma la sua anima non ne aveva mai pagato il prezzo; aveva conosciuto la
povertà e gli orrori della guerra, perso due figli e osservato l’amore
della sua vita spegnersi lentamente divorato da una silenziosa malattia,
ma niente di tutto ciò era riuscito a congelarle il cuore. Sebbene non
avesse potuto frequentare la scuola, Jacqueline
era una donna colta, raffinata, dalla mente ancora fervidamente
curiosa, la cui compagnia non stancava mai. Ogni volta che Elena aveva
la possibilità di trascorrere qualche ora con lei dopo il lavoro, tutto
ciò che riusciva a cogliere dalle loro intime conversazioni la faceva
sentire profondamente arricchita, non solo da un punto di vista
meramente linguistico, quanto soprattutto sotto il profilo umano. Presto
Jacqueline
diventò per lei quella nonna che non aveva mai conosciuto, un’umile
donna che attraverso la spontaneità dei suoi racconti era in grado di
fornirle sempre nuovi spunti di riflessione su temi importanti quali il
valore dei sacrifici, l’importanza dei sentimenti e la sacralità della
vita.
Purtroppo Elena poté godere di quella presenza benefica nella sua vita solo per pochi mesi: Jacqueline
era gravemente malata e non le restava molto da vivere. Elena lo scoprì
per caso, un pomeriggio che si fermò a scambiare qualche parola con il
giardiniere venuto a potare le rose del suo giardino. Egli le raccontò
che la povera donna gli aveva confidato di apprezzare molto la sua
presenza, essendo ormai l’unica persona con cui poter scambiare qualche
parola ogni tanto. Da quando sua nipote era partita, il figlio Charles
si era gettato ancor più a capofitto nel lavoro, dimenticandosi della
moglie e ancor prima della madre. L’anziana donna non era più in grado
di ricordare l’ultima volta in cui lui fosse andato a farle visita, né
la sua ultima telefonata. Si sentiva abbandonata, senza nessuno che
fosse disposto ad alleviare il peso di quella vecchiaia che lei con
fatica riusciva a sostenere, circondata solo dalle fotografie di un
tempo talmente distante da sembrare irreale. Nonostante non si fosse mai
risparmiata, nonostante l’amore donato superasse cento e più volte
quello ricevuto, alla fine del suo lungo viaggio si vide completamente
sola.
L’epilogo
della sua vita sembrò tingersi dei colori dell’oblio e, a quelle
parole, Elena immediatamente pensò quanto fosse facile sparire dai
pensieri della gente, quanto la vita quotidiana fosse capace di
assorbire ogni energia ponendo in secondo piano anche qualcosa di sacro
come lo è l’amore di una madre. Prima ancora che l’uomo ebbe terminato
la sua storia, Elena capì cosa fare. A Jacqueline
probabilmente restavano pochi giorni da vivere e non avrebbe permesso
che quella donna così dolce portasse dentro sé il peso di una delusione
tanto amara. L’avrebbe ricordata sorridente e curiosa, nella sua mise
elegante e col cuore allegro. Rientrata a casa, sfidando la stanchezza
della giornata, accese il computer e iniziò la sua ricerca: non le fu
difficile trovare l’indirizzo e il recapito telefonico di Charles Moore,
era un uomo conosciuto nell’ambiente dell’alta finanza. Afferrò il
cellulare e compose svelta il numero; dopo appena un paio di squilli,
una voce fredda e forte rispose, ma passò qualche secondo prima che
Elena trovasse il coraggio di parlare…
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