Le impurità del cuore
Daniele Imbornone
L’aurora rischiarava le sagome dei palazzi della città. Iniziava ad albeggiare e una luce brillante rendeva tutto più definito, netto. La notte stava ritirando veloce il suo buio, come se il sole prepotente volesse scacciar via le tenebre. Elena socchiuse gli occhi e respirò a fondo l’aria ancora frizzante della notte.“E’ ora di muoversi”, disse.
L’Ampia
porta-finestra era rimasta per tutto il tempo socchiusa, in attesa che
quell’interminabile dialogo tra lei e la silente città cancellasse la
sporcizia che si sentiva addosso. Elena sperava che il sole nascente
illuminasse un po’ il buio che si portava dentro; ma invano. Anche il
sole era sporco. Sporco e coperto di nubi. Con una mano spinse
delicatamente l’imposta e s’immerse nella penombra della stanza dove la
notte prima si era consumato l’ennesimo delitto nei confronti di se
stessa.
La moquette l’accompagnò alla poltrona dove giacevano i suoi abiti, complici essi stessi della sua doppia vita. Si fermò un istante a specchiarsi nelle ante dell’imponente armadio in noce.
I capelli biondi e scompigliati e il trucco sfatto le davano un aria disordinata e stanca. E disordinata e stanca si sentiva anche dentro. Ma soprattutto… sporca. Lanciò un’occhiata fugace al letto in parte disfatto. Le lenzuola di seta si muovevano sinuose su di un corpo a lei sconosciuto, ma nello stesso tempo conosciuto fin nell’intimo. Un uomo che non apparteneva al suo mondo, un uomo che però incontrava ogni notte con volti sempre diversi.
La moquette l’accompagnò alla poltrona dove giacevano i suoi abiti, complici essi stessi della sua doppia vita. Si fermò un istante a specchiarsi nelle ante dell’imponente armadio in noce.
I capelli biondi e scompigliati e il trucco sfatto le davano un aria disordinata e stanca. E disordinata e stanca si sentiva anche dentro. Ma soprattutto… sporca. Lanciò un’occhiata fugace al letto in parte disfatto. Le lenzuola di seta si muovevano sinuose su di un corpo a lei sconosciuto, ma nello stesso tempo conosciuto fin nell’intimo. Un uomo che non apparteneva al suo mondo, un uomo che però incontrava ogni notte con volti sempre diversi.
- Jhon,
Jeffry, James… Diamine, non ricordo nemmeno il suo nome – rifletté lei.
Raccolse i vestiti attillati dalla poltrona e li scambiò con quelli
contenuti nella busta di plastica portata da casa. Lo svestirsi davanti
ad un altro uomo, benché addormentato, non le provocava più quel senso
di vergogna che l’aveva attanagliava da quando aveva iniziato a
lavorare. Ciò la preoccupava più dell’atto stesso. Vestita a metà, Elena
sprofondò nella poltrona di pelle. Per un attimo le lacrime furono sul
punto di abbattere lo specchio della sua anima. Dalla borsetta di Louis
Vuitton prese uno specchietto. Fece anche per prendere una salvietta
imbevuta di tonico, ma le dita sfiorarono un oggetto imbevuto invece di
promesse mancate. La salvietta non le servì più; il mascara le scivolò
sulle guance in modo naturale, struggente. Tirò fuori il simbolo della
sua promessa; quella promessa più volte mancata, infangata, tradita. Tra
le sue mani quell’anello era un fuoco divorante, ma riuscì comunque a
infilarlo all’anulare. Un secondo e per Elena quella reggia immensa
divenne una stalla claustrofobica. La lasciò dopo aver contemplato per
un’ultima volta, amara, la soddisfazione sul volto del suo cliente. La
colpa era sua, lo sapeva e se ne dispiacque.Si
strinse nella giacca. L’aria primaverile era ancora troppo fredda, e
lei, troppo leggera. L’autobus la raccolse poco dopo le cinque. Obliterò
e si sedette in ultima fila. Partito l’autobus, Elena si concentrò
sulla musica. Credeva che il ricordo dalla notte appena passata si
sarebbe eclissata con l’aiuto degli auricolari; ma la sua fu solo
ingenuità. Rigirava l’anello con le dita e pensava. Lo aveva ricevuto da
meno di due anni ma gli pesavano come eternità stessa. Amava Luca con
tutto il cuore; ma l’amarezza di una vita di stenti saturata
dall’ingiustizia aveva schiacciato la loro gioia. Odiava la sua codardia
e il patto stretto con quel sistema corrotto dove i ricchi predominano.
Odiava il suo aspetto fisico, odiava la sua paga eccellente e odiava il
fatto di essere una “d’alto bordo”. Avvolse le braccia attorno alle
spalle e pianse tremando. Desiderò che quelle braccia fossero del suo
Luca ma, probabilmente lo avrebbe allontanato per evitare che le sue
colpe sporcassero anche lui. Alla fine… si addormentò.
- Mi scusi signorina, siamo al capolinea – Elena riemerse dalla sua trance al terzo richiamo dell’autista.
Non lo guardò nemmeno in faccia. Si alzò e scese in silenzio; emettendo solo un mezzo sussurro prima che le porte si chiudessero.
- Mi scusi signorina, siamo al capolinea – Elena riemerse dalla sua trance al terzo richiamo dell’autista.
Non lo guardò nemmeno in faccia. Si alzò e scese in silenzio; emettendo solo un mezzo sussurro prima che le porte si chiudessero.
- E’ signora comunqe… –
Percorse
il chilometro che la separava da casa senza fretta, guardando l’asfalto
e, a volte, i visi di coloro che come lei avevano lasciato una casa e
un letto caldo. Unica differenza: il letto da cui Elena era scesa, era
un letto di rose… trapuntato di spine. Entrò nel suo condominio poco
prima delle sei. Aprì la porta di casa senza fare rumore e la richiuse
nello stesso modo. - Sei in
ritardo. – Elena sobbalzò. La voce veniva dal salotto. «Non c’è nulla di
strano» pensò col cuore a mille «Luca sa che turni faccio e che mi ci
vuole molto per tornare a casa.» Aveva costruito bene la sua facciata.
Ciononostante, era turbata.
- Amore sono a casa. Non ti dico che stanchezza… sono veramente a pezzi. - Il tavolino era colmo di lattine di birra vuote e tazze di caffè. C’era anche un termos aperto ai piedi del divanetto. La TV trasmetteva pubblicità, ma l’attenzione di Luca era sintonizzata su altro. Fissava lo specchio e, di riflesso, sua moglie. Si alzò barcollando. Era in pigiama e il suo aspetto tradiva una notte insonne piena di pensieri.
- Amore sono a casa. Non ti dico che stanchezza… sono veramente a pezzi. - Il tavolino era colmo di lattine di birra vuote e tazze di caffè. C’era anche un termos aperto ai piedi del divanetto. La TV trasmetteva pubblicità, ma l’attenzione di Luca era sintonizzata su altro. Fissava lo specchio e, di riflesso, sua moglie. Si alzò barcollando. Era in pigiama e il suo aspetto tradiva una notte insonne piena di pensieri.
- Amore non avresti dovuto aspettarmi! Sai che il bar chiude all’alba! -Luca
non disse nulla; il suo volto parlava per lui. Elena si sentì scrutare
sin dentro l’anima e avvertì due occhi navigare nei suoi segreti
inconfessati. Un brivido gli corse per tutto il corpo. Alla fine, quando
la tensione fu al culmine, Luca confessò. – So tutto. –
La
piccola Magda iniziò a piangere, ma la culla era lontana dalla
dimensione solitaria nella quale i genitori vivevano. Elena cadde in
ginocchio e pianse.Pianse lacrime di vergogna, disperazione e rassegnazione.
Luca la lasciò da sola con le sue
colpe. Elena stentava a crederci. Era stata abbattuta due volte: dalla
vita e dall’uomo che amava. Un colpo di vento scostò le tende e mostrò
un sole forte, deciso. Elena si sentì chiamare. Aprì la finestra. Il
vento le seccò subito le lacrime, gelandole le guance rosse.
Si sedette sul cornicione del balcone e proiettò lo sguardo in lontananza. In un attimo rivide tutta la sua vita e non trovò un solo episodio che la incoraggiasse a continuare. Perciò respirò a fondo. “Addio.”
Un vagito le giunse da dietro e un abbraccio lo seguì.
Il cuore di lei perse un battito. Si voltò. Luca le sorrise e poi la baciò con passione.
- So perchè lo hai fatto… e ti perdoniamo. Resta solo con noi e sporcati solo con me. -
Si sedette sul cornicione del balcone e proiettò lo sguardo in lontananza. In un attimo rivide tutta la sua vita e non trovò un solo episodio che la incoraggiasse a continuare. Perciò respirò a fondo. “Addio.”
Un vagito le giunse da dietro e un abbraccio lo seguì.
Il cuore di lei perse un battito. Si voltò. Luca le sorrise e poi la baciò con passione.
- So perchè lo hai fatto… e ti perdoniamo. Resta solo con noi e sporcati solo con me. -
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